Chiesa di S. Giovanni dei Cavalieri

LA CHIESA DI SAN GIOVANNI DEI CAVALIERI

arte, musica, storia

‘Ecclesie hospitalis sancti Johannis de Prata, unum mansum, iacentem in Prata Veteri, et vigintiquinque libras denariorum venetorum ad emendum libros praedictae ecclesie, in cuius cemeterio corpus suum constituit sepeliri’.

Nel 1262, il conte Guecello II veniva sepolto, per sua volontà, nella chiesa di San Giovanni, a Prata di Pordenone. Irriducibile ghibellino, aveva combattuto a fianco di Ezzelino III, ritirandosi, dopo la tragica fine degli ultimi da Romano, nei suoi possedimenti di Prata.

La chiesa di San Giovanni, faceva parte di un ospizio dei Cavalieri Ospitalieri di Gerusalemme e venne eretta nella prima metà del XIII secolo, probabilmente per volontà dello stesso Guecello. Il complesso ospitaliero adiacente alla chiesa, oggi non più visibile in quanto gli ultimi resti sono stati distrutti durante la costruzione delle case d’abitazione, non doveva essere particolarmente grande, anche se possedeva una sua importanza strategica, in quanto, assieme agli ospizi giovanniti di Arta Terme e di san Tomaso di Susans da cui dipendeva, si trovava a controllare la strada che univa le valli oltramontane con la laguna.

IL RESTAURO

La chiesa, più volte riedificata, ha subito un lungo e inarrestabile degrado, tanto che, nel 2007, è stato indispensabile sottoporla a consolidamento e a un accurato restauro.

LA CHIESA DI PRIMA FASE – Il cimitero dei Prata

Vista dall’esterno, la chiesa appare come un piccolo fabbricato rettangolare con un’abside quadrata e un piccolo campanile a vela.

Varcando la porta, si rimane piuttosto sorpresi nell’osservare due arche monumentali fissate alle pareti da due poderose mensole di pietra. Vicino all’acquasantiera, si può scorgere una lapide sepolcrale trecentesca, e un’altra poco distante. Una terza è murata sul piano dell’altare.

Nel corso dello scavo archeologico compiuto nel 2007, che ha interessato il piano pavimentale della chiesa, si sono potute evidenziare tre fasi costruttive distinte, che, partendo dalla prima fondazione della chiesa, collocabile nella seconda metà del XIII secolo, giungono fino ai nostri giorni. La prima fase, la più interessante, appare legata indissolubilmente alla storia dinastica dei conti di Prata, storia che lo scavo stesso ha permesso di chiarire in alcuni suoi aspetti.

Lo scavo si è presentato subito molto complesso ed è stato eseguito rispettando i canoni e le tecniche dell’antropologia funeraria, cercando di ottenere il maggior numero di informazioni possibili sulle caratteristiche e sulla sequenza delle sepolture. I resti ossei sono poi stati accuratamente restaurati, classificati e analizzati. I risultati dello studio sono stati estremamente interessanti.

I CONTI DI PRATA

All’interno della chiesa, sulla parete nord, si conservano due arche posizionate all’altezza di circa 2 metri, realizzate per due esponenti del casato dei Prata: Pileo I e Nicolò I.

La seconda arca dichiara di contenere le spoglie mortali di Nicolò I e della moglie Caterina di Castrocucco: ‘Sepolcro del nobiluomo signor Nicolò di Prata e di sua moglie, la signora Caterina di Castrocucco, che morì nell’anno del signore 1344, il 23 di agosto. L’arca presenta sul fronte tre rilievi marmorei alternati da due lastre in marmo rosso: ai lati sono raffigurati san Franceso e san Giovanni Battista, mentre al centro si colloca una Madonna in trono con Bambino, inserita all’interno di un’edicola. Una cornice dentellata completa la decorazione del prospetto che termina, nella parte superiore, con una fascia a motivo floreato. Questi due elementi, caratterizzano anche i fronti laterali, molto più semplificati e privi di rilievi. Nella parte inferiore, l’arca presenta una lastra modanata, sulla quale è incisa l’iscrizione, Le tracce di colore ancora presenti sul marmo dell’arca, dimostrerebbero che anche l’arca di Nicolò era policroma. Una recente rilettura confermerebbe l’appartenenza dell’opera alla bottega del veneziano Andriolo De Sanctis

GUECELLO II

Nel periodo tra la metà del XII e la metà del XIII secolo, la Marca Trevigiana ed il Friuli appaiono come due aree ben distinte. Mentre ad ovest del Livenza si affermano i Comuni, soprattutto quello di Treviso, nel Friuli è predominante invece uno stato ecclesiastico di tipo tedesco, che mantiene un carattere di chiara impronta agrario-feudale: il Patriarcato di Aquileia. Dal punto di vista politico, i signori di Treviso, ovvero la potente famiglia dei da Romano, e i Patriarchi, si trovarono quasi costantemente sulla sponda opposta. Dagli anni ’60 del XII secolo fino al 1232, i da Romano sono da considerare quasi sempre Guelfi e i Patriarchi di Aquileia, ghibellini. Solo per un breve periodo, cioè dal 1232 al 1245, i da Romano e i Patriarchi, si trovarono sulla stessa sponda, cioè quella filo imperiale. Ma a partire dal 1245 il Patriarca di Aquileia passò al partito guelfo, mentre Ezzelino III da Romano rimase ghibellino: un perfetto rovesciamento della situazione iniziale.

Le ostilità tra i da Romano e i Patriarchi coincisero quasi sempre con quelle tra ghibellini e guelfi, cessando, dopo la morte di Federico II, cioè dopo il 1250, semplicemente per le difficoltà politiche di Ezzelino.

L’influenza dei da Romano fu particolarmente importante a ovest del Livenza, che rappresentò un confine naturale per l’espansione dei trevigiani verso il Friuli, mentre a est l’influenza fu in qualche modo regolata dalla famiglia dei da Prata, avvocata dei vescovadi di Ceneda e di Concordia e potenti signori, nel Friuli occidentale, di un territorio piccolo ma strategico, posto all’ingresso del territorio patriarcale.

Già intorno al 1160, dopo la sconfitta contro Ezzelino il Balbo, che agiva per conto di Treviso, Guecello I da Prata fu costretto a diventare cittadino trevigiano e a imparentarsi coi da Romano 

Nel 1228 il nipote di Guecello I, Guecello II, compare tra i consiglieri di Ezzelino III e nel 1247 ‘per grazia di Ezzelino e in sua presenza’ assume la carica di Podestà di Padova, che tenne fino al 1249. Guecello II ed Ezzelino, insieme, aiutarono Federico II nello sfortunato assedio di Parma e ancora, nel 1256, Ezzelino creò Podestà di Vicenza Mainardo, figlio di Guecello II.

Ovviamente, il legame tra i da Romano e i da Prata turbò profondamente i rapporti con il Patriarca di Aquileia, anche se il fenomeno era generale: non solo loro, ma anche numerose famiglie nella stessa area alpina trovarono utile abbandonare le consuete fedeltà vassallatiche per poggiarsi ai comuni cittadini. Insomma, i signori di Prata non avevano fatto niente di più di tante altre famiglie nobili, che vedevano nei potenti comuni nuove possibilità di sviluppo e nuovi vantaggi.

Il tramonto degli imperiali e la morte di Ezzelino, il 28 settembre 1259, seguito dalla fine della famiglia dei da Romano, mise certamente a disagio i Prata, che finirono per far pace con il Patriarca. Le condizioni furono piuttosto onerose, in fatto di cessione di territori e indennità di guerra, ma il prestigio e la potenza dei da Prata rimasero indenni. Guecello si ritirerà definitivamente nei propri possedimenti, morendo nel 1262. Aveva avuto otto figli dalla moglie Milisenda, il che assicurava una stirpe florida e numerosa.

La famiglia dei Prata, nonostante la sconfitta della parte imperiale, si conservò sempre ghibellina. Nonostante che nel periodo dalla morte di Guecello sino al 1272, di loro non si abbiano particolari notizie, i conti di Prata parteciparono attivamente alla vita politica del Friuli. I Prata compaiono tra i congiurai per l’assassinio del Patriarca Bertrando, nel 1350, e probabilmente parteciparono all’assassinio dell’Abate di Moggio

I CONTI DI PRATAla malattia

Al tempo del grande scisma, i Prata ebbero un ruolo strategico durante il concilio di Cividale del 1409, quali difensori di Papa Gregorio XII. Lo stesso Papa fu ospite dei Prata, tra il 20 e il 26 maggio dello stesso anno ed è probabile che lo stesso pontefice abbia celebrato messa nella chiesa di san Giovanni

Verso la metà del Trecento la famiglia dei Prata era composta da una ventina di membri, quasi tutti coetanei. Poco più di due decenni dopo, però, troviamo attivo solo il ramo famigliare di Niccolò III.

Come mai una famiglia che, intorno al 1340, contava una ventina di individui, si è estinta all’inizio del Quattrocento? La risposta è nell’analisi dei resti ossei, dalla quale risulta una malattia, la Treponematosi, che ha lasciato tracce singolari nello scheletro e che ha colpito i maschi, proprio a partire dal 1340. E una malattia di cui non abbiamo altri riscontri in Europa, se non nei Balcani. È una malattia che dà infiammazione delle ossa, con deformazioni, impotenza fisica e morte, ma non manifesta subito i suoi effetti, sicché può essere trasmessa da padre a figlio. Inoltre comporta infertilità.

La parabola dei Prata era ormai in discesa. Nel 1419 Prata verrà distrutta dai veneziani e poco dopo la famiglia si estinguerà con la morte, avvenuta presso Vienna, di Tolberto II. La contea venne assegnata da Venezia ai Floridi di Spilimbergo e da questo momento Prata, ormai distrutta, seguirà i destini veneziani.

LA CHIESA DI SECONDA E TERZA FASE

In un arco cronologico assai ristretto, compreso tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV, la chiesa di prima fase viene interamente abbattuta per far spazio a un nuovo edificio. L’edificio di seconda fase si presenta così ingrandito, arrivando a misurare 18 metri di lunghezza per 9 di larghezza. L’ultimo intervento edilizio a interessare la chiesa di san Giovanni, nel XVII secolo, vede ricostruita completamente la facciata, rifatta l’abside e messo in opera il pavimento in cotto. (Simone Masier)

Nell’ambito dei restauri è stata recuperata anche la pala di San Giovanni, della quale si è scoperto l’autore: è un celebre artista del Cinquecento, il Montemezzano. Ci sono poi altre opere, che non hanno importanza artistica rilevante, ma dimostrano l’attaccamento devozionale a questa chiesa. (Ettore Polesel)

L’ospizio gerosolimitano, compresa la chiesa di san Giovanni, dopo la morte dell’ultimo priore residenziale, avvenuta nel 1456, passerà in commenda alla famiglia patrizia veneta del Lippomani, che la conserverà, fino all’estinzione della famiglia, avvenuta nel 1856. 

PROPRIUM MISSAE IN NATIVITATE SANCTI IOHANNIS

Cappella Altoliventina
Roberto Spremulli, solo
Sandro Bergamo, direttore

I testi e i video sono tratti da:

La chiesa di San Giovanni dei Cavalieri: arte, musica, storia a cura di Fabio Cavalli e Sandro Bergamo.

Altoliventina Editrice   www.altolivenzacultura.it

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